lunedì 10 settembre 2012

Donne vittime di stalking, 41.500 euro all'ospedale di Parma

 

41.500 euro saranno destinati al progetto dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma per “L’accoglienza ospedaliera alle donne vittime di violenza e stalking”, grazie al finanziamento ottenuto dalla Presidenza del consiglio dei ministri, dipartimento per le pari opportunità.

L’accordo è stato siglato dal direttore generale dell’azienda Leonida Grisendi, alla presenza del ministro Elsa Fornero, che attualmente ha in carica la delega alle pari opportunità. Il progetto prevede due momenti: uno di formazione del personale, in particolare di pronto soccorso, ostetricia e ginecologia e un secondo dedicato alla standardizzazione delle procedure di accoglienza

“Il riconoscimento assegnato al progetto aziendale premia il lavoro interprofessionale degli operatori sanitari che da alcuni anni sono impegnati nel miglioramento delle procedure interne di accoglienza delle persone fragili. Per l’ospedale si tratta di un incontro con il territorio, un’estensione della propria missione di cura, che risponde alla necessità di riconoscere il paziente non solo nelle sue necessità cliniche, ma nella sua umana complessità”, ha spiegato Grisendi. 

FONTE: 24 Emilia

venerdì 6 luglio 2012

Violenze Afgane..da combattere!!!

Cari amici, 



Dopo essere stata rapita, violentata e torturata dalla polizia afgana, la diciottenne Lal Bibi sta ora combattendo contro l'impunità delle forze dell'ordine e la tradizione ancestrale secondo la quale dovrebbe commettere suicidio. Gli avvocati non riescono a portare i suoi stupratori a giudizio, ma una forte protesta a livello globale potrebbe convincere i paesi donatori che stanno per consegnare miliardi all'Afghanistan a usare la loro influenza perpretendere un cambiamento reale per Lal Bibi e tutte le donne afgane. Firma la petizione e dillo a tutti: 



Firma la petizione!
Per cinque giorni la diciottenne Lal Bibi è stata rapita, violentata, torturata e incatenata al muro da un gruppo di potenti ufficiali della polizia afgana. Ma lei ha deciso di fare quel che alle donne afgane è vietato: sta reagendo, e insieme possiamo aiutare lei e tutte le donne afgane a ottenere giustizia.

Secondo una tradizione ancestrale, come donna che ha subìto violenza, Lal Bibi è stata “disonorata” e sarà costretta a uccidersi, come afferma pubblicamente lei stessa, a meno che i suoi aguzzini verranno consegnati alla giustizia per restituirle onore e dignità. In genere il sistema giudiziario afgano non persegue casi simili e fino a questo momento i maggiori sospettati nel caso di Lal Bibi non sono stati chiamati a giudizio, probabilmente nella speranza che l'attenzione internazionale si attenui. Ogni giorno che passa senza che avvenga alcun arresto spinge sempre più Lal Bibi al suicidio, ma c'è ancora speranza.

Questo fine settimana è previsto che Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone e altri importanti donatori si impegneranno a devolvere 4 miliardi di dollari all'Afghanistan, soldi destinati proprio a finanziare le stesse forze di polizia responsabili delle violenze nei confronti di Lal Bibi. Una protesta globale può però indurre i donatori ad agire, ponendo come condizione alle loro sovvenzioni un'azione forte per combattere le violenze e proteggere le donne. Non ci rimane molto tempo: clicca sotto per chiedere il cambiamento che può salvare la vita di Lal Bibi e la nostra petizione sarà consegnata proprio alla conferenza dei donatori a Tokyo: 

https://secure.avaaz.org/it/justice_for_lal_bibi_c/?bStJhcb&v=15792 

Le usanze locali in alcune zone dell'Afghanistan impongono che le donne che subiscono violenze sessuali, poiché disonorate, debbano commettere suicidio per ristabilire l'onore della loro famiglia per generazioni. Incredibilmente però Lal Bibi e la sua famiglia stanno tentando con coraggio di salvarle la vita insistendo nel voler perseguire i suoi torturatori e spostando su di loro la colpa, agli occhi della società.

Le forze di polizia afgane responsabili della violenza dipendono fortemente da finanziamenti esteri che verranno promessi questo fine settimana, quando tutti i maggiori benefattori si riuniranno a Tokyo. I paesi donatori possono e devono pretendere che i fondi non vengano spesi per potenziare forze di polizia che agiscono con vergognosa impunità e che gli ufficiali di polizia lavorino per proteggere le donne, non per aggredirle!

In tutto l'Afghanistan ci sono centinaia di donne e ragazze che sono soggette alla stessa “giustizia tribale” inflitta a Lal Bibi. Altre migliaia stanno seguendo con attenzione la vicenda per vedere in che modo il governo afgano e il mondo intero risponderanno alla ragazza che sta reagendo rifiutandosi di morire in silenzio. Sosteniamola: firma la petizione qui sotto e dillo a tutti:

https://secure.avaaz.org/it/justice_for_lal_bibi_c/?bStJhcb&v=15792 

La guerra globale alle donne è implacabile. Più volte la nostra comunità si è però unita per combatterla. Abbiamo aiutato a fermare la lapidazione illegale di Sakineh Ashtiani in Iran e combattuto perché le sopravvissute agli stupri in Libia, Marocco e Honduras ottenessero giustizia. Mostriamo il potere globale della nostra comunità per aiutare Lal Bibi e milioni di donne in Afghanistan a ottenere giustizia.

Con speranza e determinazione, 

Dalia, Emma, Alaphia, Ricken, Laura, Antonia e il resto del team di Avaaz 


Per maggiori informazioni: 

Afghanistan, la conferenza di Tokyo. I diritti delle donne prima di tutto (La Repubblica)
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2012/07/03/news/afghanistan_la_conferenza_di_tokyo_i_diritti_delle_donne_prima_di_tutto-38453746/

Afghanistan: stupro, madre avverte, "giustizia o ci immoliamo" (Articolo Tre)
http://www.articolotre.com/2012/06/afghanistan-stupro-madre-avverte-giustizia-o-ci-immoliamo/92037 

Un caso di stupro in Afghanistan focalizza l'attenzione sulla polizia locale [EN] (New York Times)
http://www.nytimes.com/2012/06/28/world/asia/afghan-rape-case-turns-focus-on-local-police.html?pagewanted=all 



Fonte:


CHI SIAMO
Avaaz.org è un'organizzazione no-profit e indipendente con 14 milioni di membri da tutto il mondo, che lavora perché le opinioni e i valori dei cittadini di ogni parte del mondo abbiano un impatto sulle decisioni globali (Avaaz significa "voce" in molte lingue). I membri di Avaaz vivono in ogni nazione del mondo; il nostro team è sparso in 19 paesi distribuiti in 6 continenti e opera in 14 lingue. Clicca qui per conoscere le nostre campagne più importanti, oppure seguici su Facebook o Twitter.

mercoledì 4 luglio 2012


2°  Comunicato stampa - 4 luglio 2012- NONDASOLA. Re. 


Non una sola donna lasceremo che venga uccisa da mano maschile senza far sentire la nostra voce, la voce delle donne dell'Associazione Nondasola. Così abbiamo scritto sabato dopo l'uccisione di Stefania Cancellieri. Oggi dobbiamo denunciare il femminicidio di altre due donne da parte del marito e del compagno: Alessandra Sorrentino uccisa a forbiciate e Antonina Mieli uccisa a pugnalate, tutte e due avevano 26 anni. Noi usiamo il termine femminicidio che va oltre il significato di omicidio di una donna, e include il riferimento alle relazioni fra i generi di impronta maschilista e misogina. Femminicidi che non sono esito di un ‘raptus’ o della marginalità sociale, ma la conseguenza più feroce dell' “ordinaria quotidianità della violenza maschile”, violenza consumata il più delle volte tra le mura domestiche, che distrugge la vita di tante donne e spesso dei loro figli e figlie.

Non è più sufficiente l'indignazione, è urgente che ognuno/a si assuma la responsabilità di questa mattanza e la politica per prima. Ricordiamo che l'Italia non ha ancora firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa di Istanbul presentata l'11 maggio 2011 per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica.
Dall’inizio dell’anno sono 67 le donne uccise, nel 2011 sono state 127, il 6,7% in più rispetto al 2010. Più di una donna uccisa ogni tre giorni.( Nondasola Centro Antivilenza Re)
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NO, NON C'E' TREGUA!!! Le nostre giornate sono oramai scandite da un bollettino di guerra . Guerra  dichiarata e perpetrata sulle donne  tra le" mura affettive",dal genere maschile su quello femminile e non c'è nessuna "Forza d'Interposizione Nazionale o Internazionale "che se la senta di intervenire efficacemente.
I Ministri che girano per il  mondo rappresentando l'Italia ,dovrebbero provare un certo sentimento di  vergogna per la condizione  etica e socio culturale nella quale vengono considerate le donne italiane. Ma dimenticavo...tutto questo per il momento non c'entra con lo spread, non'è un problema finaziario è solo un problema di relazioni , di civiltà, di riconoscimento dell'altra/o nella sua differenza ... ma noi non siamo stati anche quelli delle leggi razziali?

P.s. Come Terra di Donne, ospitiamo e facciamo nostri i Comunicati della Associazione NONDASOLA riconoscendole l'incomiabile lavoro di solidarietà, di cura e di assistenza , che pratica  nei confronti delle donne maltrattate che hanno subito violenza  e dei loro bambini .
 Anna Scappi.

martedì 3 luglio 2012




Comunicato stampa 29 giugno 2012        ASS. NONDASOLA - Reggio .E



Non una sola donna lasceremo che venga uccisa da mano maschile senza far sentire la nostra voce. La voce del Centro Antiviolenza ‘Casa delle Donne’ gestita dall'Associazione Nondasola , che da anni accoglie a Reggio Emilia, migliaia di donne abusate e maltrattate dai propri partner .

Dobbiamo aggiungere all’elenco ormai interminabile il nome di Stefania Cancelliere, di 39 anni, che a Legnano è stata massacrata con un mattarello dal marito, uno stimato oculista primario ospedaliero, perché voleva lasciarlo. Tenere tra le braccia l’ultimo nato non ha salvato Stefania dalla furia del partner che ha infierito contro il suo corpo per annientare la sua soggettività di donna che aveva scelto di determinare la propria vita. E se Stefania potesse ancora parlare racconterebbe di una relazione violenta che da tempo non la faceva vivere e che aveva deciso di troncare . Tre mesi fa aveva denunciato il marito per ‘stalking’ e aveva deciso di separarsi e di spostarsi in un altro appartamento con i figli piccoli.

Dati agghiaccianti che ogni anno dobbiamo aggiornare , e non per difetto, ci rimandano che le donne uccise perché donne, quelli che noi denunciamo come femminicidi, avvengono al ritmo di uno ogni tre giorni. Dall’inizio dell’anno sono 65 le donne uccise, nel 2011 sono state 127, il 6,7% in più rispetto al 2010. Femminicidi che non sono esito di un ‘raptus’ o della marginalità sociale, ma la conseguenza più feroce dell' “ordinaria quotidianità della violenza di genere”, violenza consumata il più delle volte tra le mura domestiche, che distrugge la vita di tante donne e spesso dei loro figli e figlie.

A Reggio Emilia a partire dal 1997, data di apertura della Casa delle Donne, in convenzione col Comune di RE, contiamo 3,360 donne che si sono rivolte al nostro Centro. I nostri dati, che si allineano alla media nazionale, mostrano un quadro molto preciso della situazione reggiana e chiamano in causa un maggior numero di italiani rispetto ai maltrattatori stranieri.

Abbiamo più volte denunciato la gravità della situazione e crediamo che le cose cominceranno a cambiare quando pubblicamente , partendo dalla politica, si riconoscerà la natura di genere della violenza, non lasciando i centri antiviolenza soli nelle loro azioni di contrasto .

Già nel nostro Comune è all’opera un Tavolo Interistituzionale che coordina la rete dei diversi agenti che entrano in contatto con le donne maltrattate . Accanto alla promozione di dibattiti in più sedi, istituzionali e no, per aprire uno spazio di riflessione sulla cultura che determina questo genocidio , guardando alla responsabilità maschile (anche degli uomini che non agiscono violenza), è urgente coinvolgere direttamente le sedi istituzionali facendo entrare la problematica della violenza contro le donne nella loro agenda. Il mese scorso come Associazione NONDASOLA abbiamo chiesto al Consiglio Comunale di mettere a tema la violenza contro le donne con una mozione dal titolo : ”agli appelli seguano i fatti” contando su un modello di intervento che questa Amministrazione ha da sempre sostenuto e condiviso con la scelta di investire nella Casa delle Donne ma che ora è urgente articolare nella quotidianità per attivare un cambiamento radicale di quella cultura “patriarcale” che ancora fa morire.


Associazione Nondasola Centro Antiviolenza Reggio .E  - Ass.ne. 0522-506388-casa delle donne o522-920882

Care amiche , abbiamo pubblicato il vostro Comunicato e che dire che non sia già stato detto.

Il 25 giugno 2012  nel corso della 20° Sessione del Consiglio dei Diritti Umani,

presso la sede delle Nazioni Unite di Ginevra, Rashida Manjoo -Special Rapporteur
delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne- presenta il Rapporto
tematico annuale sugli omicidi basati sul genere, ed il Rapporto sulla violenza sulla
scorta delle sua missione in Italia lo scorso gennaio.

Conclude Manjoo “Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita.

 In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, questi risultati non hanno però portato ad una diminuzione di femicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine.”
      Anna Scappi .

domenica 29 aprile 2012

Appello - Fermiamo il massacro delle donne


                                                                                                                    
                                       
  Appello - Da Saviano alla Camusso, "Fermiamo il massacro delle donne"
 

ROMA


ROMA - Centinaia e centinaia di adesioni. Perché a volte basta utilizzare le parole giuste, obbligare all'attenzione, costringere al pensiero, per spingere a dire basta. Basta al "femminicidio", parola dura che ci ricorda che dall'inizio dell'anno 54 donne sono state massacrate in Italia da mariti, padri, amanti, fratelli, sconosciuti, omicidi seriali, uno più efferato dell'altro, l'ultima delle vittime si chiamava Vanessa e aveva, soltanto, 20 anni. Per Vanessa appunto, e per tutte le altre, "Se non ora quando", la rete delle donne, ha lanciato venerdì un appello dal titolo "Mai più complici", perché la tragedia del femminicidio scuota le coscienze, impegni la politica, imponga ai media di non relegare in poche righe "l'ennesimo" assassinio di una donna. E le adesioni, in poche ore, sono diventate moltissime. Da Susanna Camusso a Livia Turco, da Renata Polverini ad Anna Finocchiaro, dalla scrittrice Rosetta Loy a Roberto Saviano, che scrive su Twitter: "È una mattanza: 54 donne uccise dall'inizio dell'anno per mano di mariti, fidanzati, ex. È ora di chiamare questa barbarie femminicidio". E il segretario del Pd Bersani: "Si uccidono le donne, le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene. Dobbiamo fare qualcosa". Ricorda che quasi tutti gli assassini erano ben conosciuti alle loro vittime il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, che accoglie l'invito alla mobilitazione anche maschile di "Se non ora quando": "Come uomo penso sia necessario impegnarmi affinché questa violenza persecutoria possa arrestarsi". Si legge nell'appello "Mai più complici": "È ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l'orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell'indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi femminicidi. È tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà. E ancora una volta chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d'Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dalla civiltà".
"La violenza sulle donne è un fenomeno che non può lasciare indifferenti e su cui occorre sempre tenere alta l'attenzione", dice la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, "aderisco dunque all'appello "Mai più complici"". Perché c'è qualcosa che in Italia sta succedendo, e che forse queste aggressioni, a torto definite omicidi passionali, amori sbagliati, raptus, dimostrano: e cioè che in Italia è in atto un attacco al cuore dei diritti delle ragazze, delle bambine, delle donne, che sono le prime vittime della crisi, le prime vittime delle violenze domestiche. E aderendo all'appello, Nichi Vendola, presidente di Sinistra, Ecologia e Libertà, propone di "costruire da subito una forte reazione culturale, sociale e politica contro l'insopportabile sequenza di violenza, sopraffazione, morte nei confronti delle donne nel nostro Paese".

Avevamo appena condiviso   il comunicato  della Associazione NONDASOLA di Reggio del 24/4  che denunciava l'uccisione di Tiziana Oliveri , l'ultima donna uccisa nella nostra provincia (la 53^vittima di violenza da parte del proprio partner in italia ) che già siamo arrivate a 54 , con la giovane Vanessa Scialfa uccisa il 26/4 di Enna  ,una donna ogni due giorni.

Dal 2006 al 2012 le donne uccise sono state 750 :( 101 nel 2006,  107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009, 120 nel 2010, 137 nel 2011, già 54 nel 2012), delle quali 525 italiane pari  al 70% delle donne . Le straniere massacrate sono state 225. Gli assassini italiani sono stati 579 pari al 76%

Facciamo nostra la domanda della NONDASOLA: e se fossero le donne ad  ammazzare gli uomini ?Se il genere femminile cominciasse ad uccidere   con la stessa frequenza  del genere maschile? Probabilmente il mondo si fermerebbe e non parlerebbe d’altro” .
 Noi continuimo a parlarne , a denuncire questo femminicidio aderendo  all'appello di "Se non ora quando ?", ma la politica dove guarda , in quale nazione  vivono  i  nostri politici  che per anni non si sono accorti di niente ?  
 Anna Scappi . 



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Già 54 vittime dall'inizio dell'anno. "Ora chiamiamoli femminicidi" in piazza. Una manifestazione contro la violenza sulle donne. Da "Se non ora quando" arriva una nuova pressante sollecitazione a combattere la piaga della violenza sulle donne e raccoglie centinaia e centinaia di adesioni


di MARIA NOVELLA DE LUCA -repubblica

lunedì 12 marzo 2012

LA MINACCIA REALIZZATA .Di quali diritti parla la Costituzione ?

«Se provi a rimanere incinta ti licenzio»


La testimonianza: il padrone me lo ripeteva continuamente, lavoravo 8 ore e me ne pagavano 2, alla fine non ho retto .
.+- .REGGIO. Quando incontriamo Anna, nome fittizio per preservarla da aulteriori angherie, lo mette subito in chiaro: «La mia è una storia dolorosa da ricordare». E non perché sia costellata di violenze fisiche («meno male, ci mancava solo quello»), ma perché le strazianti condizioni di lavoro in cui si è trovata a vivere per più di due anni, senza la possibilità di ammalarsi, né di restare incinta, né di garantirsi un minimo di futuro, l’hanno frustrata fino al punto di preferire la disoccupazione: «Piuttosto che tornare in quell’inferno, continuo a campare alla giornata, cercando un lavoro che non arriva». Tutto ha inizio nel 2009 quando, racconta la giovane straniera, «insieme al mio compagno abbiamo trovato lavoro in un’azienda consolidata da anni, a un’ora di macchina da casa. Il lavoro ci piaceva, siamo abituati a lavorare e le premesse erano buone, anche se in busta paga ci venivano riconosciute in via ufficiale soltanto due delle otto o più ore che facevamo. Speravamo che la situazione potesse cambiare e invece è soltanto peggiorata: siamo arrivati al punto in cui mio marito veniva pagato a ore e io a pezzo, il che vuol dire riuscire a guadagnare circa 15 euro al giorno. E il padrone? Mi sento ancora risuonare le sue urla nelle orecchie, ci gridava che se non ci andava bene potevamo andarcene, ma non avevamo alternative come non le abbiamo ora, e ci minacciava dicendo che se avessimo denunciato le condizioni di lavoro che ci imponeva e i pagamenti in nero ci avrebbe fatto del male fisico. “Ho amici importanti” diceva e noi non potevamo ribattere. Da donna poi, più fragile del mio compagno, nel 2011 ho iniziato a soffrire di attacchi di panico, il pensiero di tornare in ditta mi distruggeva, ma la malattia non era ammessa. Il capo poi mi ha detto più volte che se fossi rimasta incinta avrei perso subito il lavoro. Era un argomento che non poteva neanche essere affrontato: potevo solo rimanere lì a cercare di lavorare il più possibile, anche dieci ore al giorno, al freddo, soprattutto i primi tempi perché non eravamo neanche in sede ma in un magazzino lì accanto senza riscaldamento». Nel raccontare la voce della giovane straniera diventa un misto di rabbia e sofferenza. «Oltre alle pessime condizioni di lavoro e al brutto temperamento del padrone - continua - la frustrazione che provavo era anche il lavorare in nero, quindi senza garantirsi un futuro, una pensione, e non aver diritto nemmeno alla tredicesima, o a cassa integrazione e disoccupazione nei momenti in cui il lavoro veniva meno. A un certo punto non ho più retto le violenze psicologiche e ho deciso per il licenziamento: anche il mio compagno, che veniva usato anche come muratore, ma pagato sempre come operaio, si è licenziato e ora stiamo cercando un lavoro in ogni dove, ma è difficilissimo trovarlo. Ormai non sappiamo più in cosa sperare, forse in un miracolo! Eppure voglia di lavorare ne abbiamo, ma non è facile trovare lavoro oggi, e non solo perché sono straniera: il mio compagno, italiano, forse è messo ancora peggio».

Gazzetta di Reggio
Francesca Manini

Licenziare una donna in stato di gravidanza è una pratica molto diffusa ,quasi sempre estorta alla lavoratrice al momento dell'assunzione facendole firmare una lettera di dimissioni volontarie, senza  data  ,da inserire poi successivamente sulla lettera al momento della gravidanza ,alla faccia della maternità tanto sostenuta a parole da molti esponenti sia  di partito che religiosi : tutte persone molto  sensibili e democratiche .Probabilmente ,è un metodo di prevenzione della gravidanza all'italiana ,che sta indignando non solo  da tempo noi donne ,ma anche e finalmente  le forze politiche e sindacali .
Dopo l'ordine del giorno, contro questa odiosa pratica  del Consiglio Comunale di Reggio ,che ha fatto da apripista , si sono espresse , contro tutte le discriminazioni di genere contro le donne , le Amministrazioni  Comunali  di Novellara  e di Bagnolo  : maggioranza ed opposizione .Speriamo che altri Comuni seguano questo esempio . Se si sforano anche i tempi dedicati alla Giornata Internazionale della Donna e i giorni a seguire è sempre un segnale positivo che accoglieremmo con entusiasmo . A tale scopo diamo la nostra disponibilità.
                                                                                                                 Anna Scappi .

mercoledì 7 marzo 2012

TUTTI I GIORNI " FANNO LA FESTA" ALLE DONNE






Lavoratrici: 166 licenziate per maternità .



Reggio, E’ il numero delle reggiane costrette a lasciare il lavoro nel 2011. Il tema delle “dimissioni in bianco” è arrodato in consiglio provinciale.


donne lavoro maternità .+- .REGGIO. Nel 2011, a Reggio, 166 lavoratrici si sono dimesse per maternità. Nel 2010, erano state 134. Un fenomeno preoccupante ma anche un dato contenuto nell’ordine del giorno presentato dalle consigliere provinciali alla vigilia dell’8 marzo: “Dimissioni in bianco, un atto di inciviltà da combattere a tutti i livelli”. Il documento porta in calce la f irma di tutte le consigliere provinciali (Vera Romiti, Angela Zini, Valeria Montanari, Elena Carletti, Lucia Gianferrari e Francesca Carlotti) alla vigilia della Festa dell'8 marzo. Un gesto simbolico, che si concretizzerà con il voto politico in Consiglio provinciale, per riaffermare la necessità di arginare la pratica delle “dimissioni in bianco”.

«L’occupazione femminile nel nostro Paese rappresenta uno dei nodi irrisolti del sistema economico nazionale e del suo mercato del lavoro, un’occasione persa per lo sviluppo, oltre che una manifesta e insopportabile ingiustizia verso milioni di donne italiane, soprattutto giovani - si legge nel documento -. L’insufficienza di politiche nazionali di welfare a favore dell’infanzia, dei disabili, degli anziani non autosufficienti, ha determinato, come conseguenza, un modello di “welfare familiare”, il cui peso grava in massima parte sulle donne. In particolare la maternità, pur in un paese a rischio di declino demografico, rappresenta ancora uno dei maggiori impedimenti con cui le donne si trovano a dover fare i conti: costrette spesso a rimandare, quando non a rinunciare, ad avere f igli, perché sottoposte, sul posto di lavoro, a ricatti più o meno esplicit i».

«Una delle pratiche più odiose nonché vietate dalla legge - proseguono - risulta essere quella delle “dimissioni in bianco”. Tale abuso consiste nel far firmare al momento dell’assunzione, una dichiarazione autografa e non datata di dimissioni, a cui il datore del lavoro può apporre la data a suo piacimento. Da fonti Istat, Acli, Cgil, Cisl risulta che questa pratica illegale riguarda il 15% dei contratti a tempo indeterminato: quando si tratta di donne, nel 90% dei casi accade a seguito di una gravidanza. Tale fenomeno rappresenta il 10% delle controversie di lavoro e per l’80%, benché suscettibile di costituire la fattispecie di reato di estorsione, resta impunito a causa delle diff icoltà probatorie dipendenti dall’apposizione della f irma autografa in calce alla lettera di dimissioni. I lavoratori e le lavoratrici così “dimissionati” non possono accedere né all’indennità di disoccupazione, né ad altri ammortizzatori sociali. Nella nostra provincia, nel 2011, le “dimissioni” di lavoratrici, per maternità, sono state 166».

«Il Consiglio Provinciale ritiene inaccettabile la prassi delle “dimissioni in bianco”, preoccupato che tale esecrabile fenomeno coinvolga pesantemente anche il territorio reggiano; chiede alla Presidente della Provincia, di farsi portavoce presso il Governo, affinché questa materia possa trovare soluzione nell’ambito delle trattative tra Governo e parti sociali, per il rilancio dell’occupazione femminile e per l’affermarsi di un “buon lavoro” in generale e di farsi portavoce dei sentimenti e delle richieste della comunità reggiana, espresso le istanze superiori e presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; chiede, a tutti i parlamentari del territorio reggiano, di favorire le iniziative parlamentari connesse alla ridef inizione di norme certe per il contrasto alla prat ica illegale delle “dimissioni in bianco”; chiede alla Presidente di farsi portavoce presso il Prefetto di Reggio di tali problematiche».

 Gazzetta di Reggio del 7/3 2011.

Facciamoci forza e sollecitiamo  ogni Comune della Bassa a fare altrettanto . Anna Scappi.

giovedì 1 marzo 2012

28 Febbraio 2012 - Vittima due volte

Tre anni di salita, di dolore, di paure, di rabbie ma sempre ferma e costante nella mia richiesta di giustizia.
Ho imparato tanto, sto imparando tanto...quanto da condividere con un mondo dimenticato di donne, un continuo ricordo di violenza subita da un sistema che non ci permette di avere giustizia, non ci permette di riscattare la nostra esistenza di donne.
Oggi 28 Febbraio 2012 in una splendente città di Reggio Emilia, dove pare essere esempio di emancipazione e dura lotta per i diritti della donna, OGGI IO sono entrata in un'aula di tribunale dopo tre anni di attesa per avere la mia giustizia.
Consapevole di quanto questo percorso possa essere duro da sostenere, mai duro quanto capire quanto le forze di un piccola donna restino inascoltate.
Oggi qualcuno mi ha fatto violenza di nuovo, questo stato che ricorda così spesso i diritti di un imputato e scorda quelli di una vittima.
Mi chiedo come possa essere CREDIBILE, GIUSTIFICABILE, dimenticarsi per l'ennesima volta di notificare un decreto di citazione a giudizio in carcere, a un uomo in carcere, e per la seconda volta in due mesi, per due processi diversi.
Dimenticanza???
Dimenticarsi dal 17 novembre ad oggi e per ben due volte di notificare??? Nello stesso carcere di reggio?? e... a quell'uomo per cui clamoroso fu l'arresto richiesto del 2009, e l'arresto di novembre 2011???
Se fosse così ...sarebbe quasi meglio!!
Sono indignata e la rabbia si rifiuta pure lei e resta zitta all'appello.
Mi vergogno di quello che sta appeso ridicolmente ancora in quell'aula:
LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI. ......NO ...
LA GIUSTIZIA E' MORTA!!!
E aggiungo ...malauguratamente soprattutto per noi donne. 
Chissà a volte mi viene da pensare che se fossi un giorno cadavere, sarei dolce prelibato per i menefreghisti di oggi!

Reggio Emilia 28 febbraio 2012, Marzia Schenetti

martedì 14 febbraio 2012

La ricercatrice ed amica Prof. Nadia Caiti ci ha lasciate






                                                                                                         


Terra di Donne – associazione bassa reggiana esprime profondo e incolmabile dolore per l'amica e ricercatrice  Prof. Nadia Caiti che ci ha lasciate.

Nadia Caiti ,insegnante , Socia della Società Italiana delle Storiche ,si è occupata da anni di Storia orale , di memoria del movimento operaio e in particolare delle donne.

Meticolosa ,nella analisi dei documenti storici ,scrupolosa, osservante della metodologia scientifica di ricerca della raccolta delle fonti orali, ricca di idealità, convinta che le donne non occupassero socialmente il ruolo che meritavano nella società , si è impegnata instancabilmente senza sosta in una ricca , complessa e faticosa ricerca, unica nel suo genere perché ha saputo coniugare storia passata e recente, storia di donne native e migranti ,con diversi approcci - storico,politico , sociologico ed economico , e possiamo dire unica e ultima per la Bassa : “DAGLI ANNI SETTANTA AL DUEMILA - Donne della Bassa Reggiana - Tra Sogni & politica di ieri e di oggi” pubblicato in collaborazione con la Camera del Lavoro di Guastalla e la C.G.I.L. di Reggio .

Sensibile ,gentile con il suo modo affabile metteva tutte/i a suo agio e noi, donne della Bassa Reggiana, avevamo individuato in lei , la ricercatrice che avrebbe scritto la storia , sull’agire politico e sociale delle donne dei diversi Comuni dalla Bassa .

Per diverso tempo ,munita di registratore e quaderno,in giornate piene di afa , con una calura insopportabile è venuta giù nella Bassa ad incontrare ,ascoltare e raccogliere le testimonianze di “quelle donne” che non accettavano che la loro memoria andasse dispersa e diventasse invece l’espressione di una memoria collettiva.

Un significativo impegno sociale e “militante” come lei amava definire il suo fare ricerca , viene espresso nell’audiovisivo realizzato in collaborazione con il regista Nico Guidetti sulle lotte degli anni 70 ,dove per giorni e giorni ha analizzato i fotogrammi di alcuni video d’ archivio sulle lotte e la condizione operaia .

Attraverso il lavoro di raccolta , del materiale storiografico che abbiamo messo a sua disposizione , abbiamo ripreso passione per l’impegno sociale e prima ,come Donne Bassa Reggiana ,poi come Terra di Donne abbiamo dato vita a questa Associazione a dimostrazione che il lavoro di ricerca sulla memoria,fatto con Nadia ha funzionato .
Grazie tante Nadia , sarà impossibile non ricordare quello che ci hai lasciato .

Per tutte le donne  che l'hanno conoscita e hanno collaborato con lei .Anna Scappi e Lucia Gardinazzi.

Guastalla .14/2/2012.

         









Uscire dalla violenza maschile subita si può .




















INVITO.




Gent. me/mi ,
siamo liete di invitarvi alla presentazine del libro : "IL GENTILUOMO - Una storia di stalking" di Marzia Schenetti   che ,con il patrocinio del    Comune  di Guastalla abbiamo organizzato per  sabato  25/2/2012 , alle ore 16,00 presso la Biblioteca Comunale Frattini - Piazza Garibaldi 1.



Sarà presente il Sindaco Dott. Giorgio Benaglia .


...un' esperienza vissuta di stalking , a testimonianza che uscire dalla violenza maschile subita si può, vi invitiamo a parlarne direttamente con l’autrice Marzia Schenetti : ex vittima - scrittrice e Presidente della Associazione MoDeM- Movimento donne e minori,  con l'avvocata di Cassazione Giovanna Fava ,nonché Presidente della Associazione Forum delle Donne Giuriste e consulente legale della Associazione Nondasola - casa delle donne - centro antiviolenza di Reggio,
Domizia Galli, consulente dell'Associazione MoDeM, l'avvocata Antonella Labianca  e Simona Colombo con la sua testimonianza .



alla fine un dolce e salato buffet.



Questa iniziativa , rappresenta nel segno della continuità , un momento importante di sensibilizzazione ed informazione al fine di promuovere e diffondere la cultura della non violenza sulle donne ed il rispetto reciproco tra i sessi .


Terra di Donne - associazione bassa reggiana .


















































venerdì 3 febbraio 2012

Stupro di gruppo, no all'obbligo del carcere l'ira delle donne: "Sentenza aberrante"


FORTE INDIGNAZIONE!!!


Lo ha stabilito la suprema Corte, estendendo una promuncia della Consulta del 2010Nelle violenze sessuali del "branco", possibile applicare misure cautelari alternative.Carfagna: "Messaggio sbagliato". Pollastrini: "Lacerante". Lenzi: "Sarà un'ulteriore spinta al silenzio per le donne che subiscono violenza".


ROMA - Una sentenza destinata a far discutere. Nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un' interprestazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010. Una decisione che ha scatenato la reazione, furente e bipartisan, di molte donne impegnate in politica: "Sentenza aberrante". 

La Cassazione ha annullato una ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere  per due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frusinate ed ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perchè faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale.

A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale non era consentito al giudice di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse del carcere in carcere.   Secondo la Corte Costituzionale, invece, la norma è in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione. Per questo la Consulta ha detto sì alle alternative al carcere "nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure".

Adesso la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali su minorenni sono 'in toto' applicabili anche alla 'violenza sessuale di gruppo' , dal momento che quest'ultimo reato "presenta caratteristiche essenziali non difformi" da quelle che la Consulta  ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio.

Le reazioni. 
"E' aberrante applicare misure alternative al carcere per lo stupro di gruppo. La Cassazione ha lanciato una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e a depotenziare tale grave reato. Una donna che vede negato il carcere per i suoi carnefici subisce una seconda violenza" così Alessandra Mussolini del Pdl. "Una sentenza impossibile da condividere, contro le donne, che manda un messaggio sbagliato - dice Mara Carfagna, deputata Pdl ed ex ministro per le Pari Opportunità - Le aggravanti per i reati di violenza sessuale furono introdotte proprio per evitare lo scempio della condanna senza un giorno di carcere per chi commette un reato grave come questo". Per Barbara Pollastrini del Pd la sentenza è "lacerante", mentre per la deputata del Pd Donata Lenzi la sentenza "sarà un'ulteriore spinta al silenzio per le donne che subiscono violenza". 

Sdegnata la reazione del coordinamento Internazionale delle associazioni per la tutela dei diritti dei minori1: "Questa sentenza maschilista non fa onore all'Italia. E' un invito a continuare la violenza sulle donne"

FONTE: LaRepubblica

 

mercoledì 25 gennaio 2012

«Sì, sono stata vittima di stalking»

Marzia Schenetti racconta la sua storia nel libro "IL GENTILUOMO - UNA STORIA DI STALKING "(ed. il ciliegio), libro che verrà presentato con l'autrice ed avvocate esperte in giurisprudenza  contro la violenza sulle donne ,il 25/2/2012  alle ore 16,00  presso la Biblioteca Comunale Frattini - Piazza Garibaldi da Terra di Donne  con il Potrocinio del Comune di Guastalla .



 TOANO. Secondo molti psicologi, il primo passo per affrontare un trauma è riuscire a raccontarlo. E Marzia Schenetti, di Cerredolo, ha deciso di farlo in un libro in cui ha riversato una brutta vicenda di stalking. Ne ha parlato in anteprima con il giornalista Gabriele Arlotti, che ha poi diffuso la sua esperienza tramite il sito internet appenninico Redacon. «Mi sono messa a nudo per non provare più vergogna», spiega la donna. Che racconta: «Un finto gentiluomo, un giorno, ha iniziato ad approfittarsi di me».  Dalle prime gentilezze, si è passati infatti a spinte, calci, fino a una cinta stretta intorno al collo. Con cicatrici profonde perché interiori: quelle incise più dalle parole che dai gesti. Lui diceva: «Non sei niente, non vali niente, senza di me sei una fallita».  Marzia, 45 anni, racconta di essere passata «da una prigionia a una prigione. La prigionia è lo stato in cui vive una donna che ha la sfortuna d'imbattersi in un profilo di stalker seriale. La prigione è lo stato in cui ci si ritrova successivamente. E' lo stato del morboso ricordo, lo stallo del senso incompiuto di giustizia. Da lì è nata l'esigenza di scrivere il libro. Quella di prosciugare il dolore con qualcosa che mi rendesse così nuda da non provare più vergogna».  Attraverso il libro si vive giorno per giorno l'incubo della donna, che a un certo punto decide di ribellarsi. «Ancora oggi - prosegue - lotto per ottenere giustizia. E penso che chi mi ha fatto questo grande male sarà il primo a prenotare il libro, o forse avrà trovato il modo di averlo in anteprima. Io ho imparato a convivere con la paura, senza rinunciare a lottare per riavere ciò che mi è stato tolto. Ho scritto queste pagine in un mese, passando giorno e notte al pc. Mentre scrivevo ripercorrevo ogni dolore, con la stessa ansia, la stessa paura, la stessa rabbia, ma tutto si fermava finalmente su quei fogli e prendeva forma di nuovo la mia vita. Una volta ultimato lo ho inviato a diverse case editrici e poi è arrivata la proposta da Giovanna, la mia editrice de Il Ciliegio, che ancora ringrazio».  Così Marzia racconta in uno scorcio del libro l'inizio della piena presa di coscienza della propria situazione: «Un senso di disgusto mi riempì a un tratto per tutto quello che rappresentava; il campo, il treno, il freddo e lui: la sua pelle unta tra le palpebre e gli zigomi, la sua voce stridula e compressa e quella saliva biancastra che diventava colla e si fermava ai lati delle sue sottili labbra. Lo guardai in lontananza come una macchietta arancione in quell'enorme giacca a vento e sentii il tormento di quei passi sulla terra bagnata come schiaffi sulla pelle, il treno e il suo fischio come un urlo tra i miei tanti soffocati dentro al cuore. Me ne andai. Fu la mia prima vera distanza». (l.t.)
9 febbraio 2011

mercoledì 4 gennaio 2012

Ha ancora senso essere femministe? di Stefania Noce" uccisa per amore"il 27/12/2011


...Stefania uccisa perché donna  
       di Lea Melandri
http://27esimaora.corriere.it/articolo/stefania-uccisa-perche-donna/

Tags: battaglie, corpo delle donne, femminismo, violenza .
      Un giovane ventiquattrenne, studente di psicologia all’Università La Sapienza di Roma, uccide a coltellate la donna che dice di aver amato “più della sua vita”. Come si può prevenire la violenza, sempre più frequente, che vede l’amore di un uomo trasformarsi in odio, una separazione diventare così intollerabile da trasformarsi in una incontrollata pulsione omicida?

Gli amici e le amiche di Stefania Noce non potevano scegliere un modo migliore per ricordarla che farlo “con le sue parole e le sue lotte”.

Nel sito del Movimento Studentesco Catanese è comparsa in questi giorni una foto in cui Stefania, ripresa durante la manifestazione del 13 febbraio di Se non ora quando? , tiene sollevato un cartello con la scritta
“Non sono in vendita”.
Di seguito, viene riportato un suo articolo pubblicato sul giornalino dell’Università di Catania, La Bussola, che ha come titolo :
Ha ancora senso essere femministe?
e come chiusura un giudizio che richiama in modo evidente lo slogan con cui aveva voluto esprimere una delle ragioni per cui riteneva che si dovesse ancora lottare per un’ “uguaglianza” che tenesse conto delle “differenze dei corpi e delle culture”, ma che fosse effettiva:
“Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione”.
Non poteva immaginare – o forse lo ha inconsapevolmente temuto?- che della possessività maschile, nella sua forma più selvaggia, sarebbe rimasta vittima lei stessa, e per mano della persona che voleva lasciare, ma che aveva sicuramente amato.

“Queste righe sono per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.
A coloro i quali pensano ancora che il “femminismo” sia l’estremo opposto del “maschilismo”:
non risulta da nessuna parte che quest’ultimo sia mai stato un movimento culturale, né, tanto meno, una forma di emancipazione! Cominciando con le battaglie inglesi delle suffragette del primo Novecento e passando per gli anni ’60 e ’70, epoca dei “femminismi”, abbiamo conquistato con le unghie e con i denti molti diritti civili che ci hanno permesso di passare da una condizione di eterne “minorenni” sotto “tutela” a una forma di autodeterminazione sempre più definita. Abbiamo ottenuto di votare e, solo molto dopo, di avere alcune rappresentanze nelle cariche governative; siamo state tutelate dapprima come “lavoratrici madri” e, solo dopo, riconosciute come cittadini. E mentre gli altri parlavano di diritto alla vita, di “lavori morali” e di denatalità, abbiamo invocato il diritto a decidere della nostra sessualità dei nostri corpi.
Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.
Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.
Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.
Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicché le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.
Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perché legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.
Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.
Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perché di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.
Ci siamo fatte imbrogliare ancora. Ma può un paese di libere donne e uomini liberi essere governato e giudicato da soli uomini? La risposta è NO.
Donne e uomini sono diversi per biologia, per storia e per esperienza.
Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione.”
Sen (Stefania Noce)

*La denuncia non basta , quella che stiamo facendo non sta funzionando.Cosa possiamo fare per uscire da questa indifferenza ? Quando quest'autunno ho avuto modo di leggere l'articolo , qui riportato di Stefania ,sono rimasta  toccata ed essendo una "donna che l'ha preceduta ", intimamente ho sentito il bisogno  di ringraziarla . Era una ragazza che ha preso il testimone di una generazione di donne ,che alla indifferenza e alla discriminazione di genere ,non si è mai rassegnata. Non averla più al nostro fianco perchè massacrata a coltellate, aggiuge al sentimento di impotenza che ci coglie ,stupore e incredulità.
Esprimiamo cordolio per la morte del nonno ,ucciso insieme a lei , nell'inutile tentativo di difenderla . Anna Scappi.

lunedì 2 gennaio 2012

ASSURDITA'

Sono tante le assurdità che tutti i giorni sentiamo e leggiamo, ma com'è possibile che nel 2012 ci siano Cardinali che abbiano il coraggio di uscire con posizioni del genere? Si è mai chiesto il signor Cardinale quali sono i sentimenti che vive una donna che prende una decisione così difficile e che cambierà la sua vita per sempre?
Ha mail provato il Sig. Cardinale ad ascoltare una donna? O nel 2012 pensa ancora che le donne siano delle streghe?

Mie care donne, uniamoci per non leggere più certe cose!!!

Caffarra: ''L'aborto è un delitto abominevole''



“L’aborto è l’uccisione deliberata e diretta (comunque venga attuata, chirurgicamente o chimicamente) di una persona umana già concepita e non ancora nata. E’ un delitto abominevole”.



Queste le dure parole usate dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nel corso dell’omelia per la festa della Sacra famiglia. Caffarra ha lanciato un severo attacco contro l’interruzione di gravidanza, precisando che “la vita umana, in qualunque stadio, è sacra ed inviolabile; in essa si rispecchia la stessa inviolabilità del Creatore” .



Non è la prima volta che l'arcivescovo si scaglia contro l'aborto. Un anno fa, durante la messa nella parrocchia della Sacra famiglia a fine dicembre, aveva parlato di “una cultura della morte materializzata come ideologia, come ordinamento giuridico”. Nel 2009, nel corso di una conferenza, aveva condannato il via libera dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, all’immissione in commercio della pillola abortiva Ru486.



Per l’arcivescovo, oggi si sta perdendo “la vera misura del valore incondizionato di ogni persona umana” e per questo la “nostra società è malata mortalmente”. I sintomi andrebbero rintracciati non solo nella “distinzione fra vita degna e vita indegna di essere vissuta e nella negazione del carattere di persona all’embrione”, ma anche nella “progressiva legittimazione del suicidio e quindi dell’assistenza ad esso”. E' in corso un “cambiamento sostanziale della definizione della professione medica, non più univocamente orientata alla vita”. Caffarra invita “a non rassegnarsi a questa deriva. Non si fa luce in una stanza piombata nel buio discutendo sulla natura fisica della luce, ma riaccendendola”.

Fonte: 24 Emilia