giovedì 4 febbraio 2010

Bonifica Polo chimico, Belleli: “a cuore l’ambiente”

Giovedì 4 Febbraio 2010 19:23 - Bonifica Polo chimico, Belleli: “a cuore l’ambiente”


Mantova. La Regione Lombardia chiederà al Ministero dell’Ambiente di diventare responsabile del sito di interesse nazionale Laghi di Mantova e Polo Chimico e quindi di avere anche la competenza sulla bonifica di questo sito come di tutti quelli esistenti sul territorio lombardo. E’ la novità principale emersa stamattina nel corso dell’incontro tecnico tenutosi in Provincia con le aziende insediate all’interno del perimetro del Sito di interesse nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”. L’obiettivo della richiesta di passaggio di competenze, è quello di accelerare i tempi delle fasi di messa in sicurezza, almeno per quanto riguarda le misure più urgenti. Pieno appoggio alla scelta del Pirellone e della Direzione Generale Qualità dell’Ambiente è arrivata anche dall’assessore provinciale all’ambiente Giorgio Rebuschi. Il confronto di stamattina, promosso dalla Regione Lombardia con la Provincia, era finalizzato al tentativo di consolidare un dialogo – iniziato con l’incontro dello scorso luglio - tra gli Enti locali e le aziende per condividere le progettualità relative alle messe in sicurezza d’emergenza nonché alla valutazione dello stato delle implementazioni delle misure di intervento in progetto o realizzate dalle ditte in seguito all’ultima conferenza di servizi decisoria che si è tenuta lo scorso 31 luglio 2009.

“Siamo collaborativi e abbiamo a cuore la sicurezza dell’ambiente – ha detto l’amministratore delegato di Belleli Energy - tanto che il gruppo di cui facciamo parte ha investito veramente molto su questo versante ma qui a Mantova attualmente non stiamo inquinando. Dopo il sequestro di un’area del nostro sito produttivo, si è creata una situazione di incertezza. Quando una multinazionale come la nostra trova tutti questi inghippi, inizia a guardare anche altrove. Non è un ricatto, ma è una conseguenza logica.”. Anche Romano Freddi, proprietario della Colori Freddi San Giorgio ha ribadito “che ha sua azienda al momento non sta inquinando e lo dimostrano le analisi che sono state fatte. Se c’è stato inquinamento in passato non lo so. Oggi, di certo, non è così. Non so di chi è la falda inquinata per cui non partecipo a nessun programma di bonifica. Perchè i controlli non sono stati fatti in passato?” La raffineria Ies invece ha confermato di aver predisposto un progetto per la messa in sicurezza d’emergenza e per togliere le fonti attive come il surnatante. “Stiamo lavorando anche sul controllo delle emissioni – ha aggiunto il dottor Loffredo per Ies -. Attendiamo solo una risposta dagli enti preposti per partire con gli interventi”. Anche Casadio di Polimeri ha confermato la collaborazione con gli enti e che “il gruppo ha accolto l’invito a fare indagini ulteriori sul surnatante. Queste ci hanno confermato le problematiche che già conoscevamo ma per fortuna non ne hanno evidenziato di nuove”. Enipower ha accolto le prescrizioni e ha deciso di presentare – nonostante non inquini – un piano di bonifica delle acque di falda. In fase di verifica delle prescrizioni sul sito collina è invece Sintial che ha anche annunciato di essere in procinto di costruire un impianto per il trattamento delle acque che entrerà in azione già a primavera. Presenti anche rappresentanti delle ditte Sol, Fratelli Posio, Tea, Itas e Sogefi.


Fonte: www.mantova.com

lunedì 1 febbraio 2010

Il giornalista Paolo Rumiz sull’acqua

di seguito l’intervento scritto che P. Rumiz (giornalista di La Repubblica) ha inviato al convegno “Acqua bene comune: storia, civiltà, vita” che si è tenuto ieri pomeriggio alla Facoltà di Scienze Politiche.
Uno scritto molto lucido e “cristallino” che credo valga la pena trasmettere ad un vasto pubblico
ACQUA BENE COMUNE: storia, civiltà vita
Facoltà di scienze politiche
12 marzo 2009
Intervento Paolo Rumiz (giornalista di la Repubblica)
E’ un peccato che non possa parlarvi a voce.
Solo a voce avrei potuto comunicarvi l’urgenza, la rabbia e l’indignazione legate al tema primordiale dell’acqua.
Sono un professionista della parola scritta, ma so che solo il racconto orale sa trasmettere sentimenti forti.
Questo scritto è dunque solo un ripiegamento, dovuto a forza maggiore.
E sappiate che gli uomini che avrei dovuto affiancare in quest’incontro sono i responsabili della mia passione per la questione idrica.
Dunque perfetti per accendere anche la vostra.
Mi sono occupato di molti temi nel mio mestiere.
Guerre etniche e planetarie, crolli di sistemi e di alleanze politiche, esplorazione dei territori e viaggi alle periferie del mondo.
All’acqua sono arrivato solo pochi mesi fa, quasi per caso, grazie a una segnalazione di Emilio Molinari.
Era successo che era stata approvata una legge che rendeva inevitabile la privatizzazione dei servizi idrici.
La svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficentista..
Tutto questo era avvenuto nel mese di agosto, alla chetichella, senza proteste da parte dell’opposizione.
Il popolo era rimasto tagliato fuori da tutto. Gli interessi attorno all’operazione erano così trasversali che i giornali avevano taciuto, i partiti e i sindacati pure.
Mi sembrava inverosimile che una simile enormità potesse passare sotto silenzio. Così ne ho scritto. E la pioggia di lettere attonite che ho ricevuto in risposta hanno confermato l’assunto.
L’Italia non ne sapeva niente.
Non entro nello specifico di questa scandalosa ruberia inflitta agli italiani. Altri lo faranno meglio di me.
Dico solo che occupandomene, dopo 35 anni di mestiere, ho provato lo stesso brivido della guerra dei Balcani.
Come allora, ho avuto la certezza che cadesse un sipario di bugie, e si svelasse la verità nuda di una rapina ai danni del Paese e dei suoi abitanti, l’ultimo assalto a un territorio già sfiancato dalle mafie, dalle tangenti e dalla dilapidazione del bene comune.
Pensiamoci un attimo.
I giornali pompano mille emergenze minori per non farci vedere quelle realmente importanti.
La tensione etnica aumenta. Ci parlano di clandestini, di rumeni stupratori, di terroristi annidati nelle moschee.
Ci infliggono ronde per tenere testa a una criminalità che – stranamente – non include la camorra, la speculazione edilizia o lo strapotere degli ultras.
Televisione, telefonini. I-pod costruiscono una cortina fumogena che incoraggia il singolo ad arraffare e impedisce al gruppo di reagire.
E’ così evidente. Noi non dobbiamo sapere che esiste un’altra e più grave emergenza: la distruzione del territorio.
Un’emergenza così grave che la lingua dell’economia non basta più a descriverla.
Oggi serve la lingua del Pentateuco, o dell’Apocalisse di Giovanni, perché viviamo un momento biblico.
“E verrà il giorno in cui le campagne si desertificheranno e la boscaglia invaderà ogni cosa, i ghiacciai entreranno in agonia e l’aria diverrà veleno. Il tempo in cui la natura sarà offesa nelle sue parti più vulnerabili”.
Se i nostri padri ci avessero fatto una simile profezia non li avremmo creduti. Invece succede.
Siamo in guerra. Una guerra contro i territori. In Italia è iniziata la guerra per l’accaparramento delle ultime risorse.
Sta già avvenendo:
Cementificazione dei parchi naturali
Requisizione delle sorgenti
Privatizzazione dell’acqua pubblica
Discariche e inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese
Ritorno al nucleare
Grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e la distruzione di interi habitat
Fiumi già in agonia, disseminati di ulteriori centrali idroelettriche
Impianti eolici che stanno cambiando i connotati all’Appennino
Tutto conduce su questa strada:
La ricorrente invocazione di poteri forti ai danni del parlamento
Il fallimento del pubblico e l’invadenza del privato
La sottrazione delle risorse ai Comuni
Lo smantellamento della democrazia diretta
La corsa a un federalismo irresponsabile che assomiglia tanto a una licenza di sperpero
La deregulation legislativa
La crisi della scuola e delle università
La visione speculativa e finanziaria dell’economia
E’ come negli anni Trenta: crisi del capitalismo, opposizione inesistente, criminalità diffusa. Ma con in più (e in peggio) la desertificazione dei territori, lo spopolamento della montagna.
Il “Paese profondo” si è talmente indebolito che oggi l’atteggiamento predatorio che abbiamo rivolto prima verso la Libia o l’Etiopia e poi verso l’Est Europa, può essere rivolto verso l’Italia medesima senza il rischio di una rivoluzione.
Anche noi diventiamo discarica, miniera, piantagione.
E anche da noi i territori deboli sono lasciati completamente soli di fronte ai poteri forti. Come le tribù centro-africane.
Guardate cosa succede con l’eolico.
Gli emissari di una multinazionale dell’energia si presentano a un comune di cinquecento- mille abitanti.
Offrono centomila euro l’anno per due o tre pale eoliche alte come grattacieli di trenta piani.
Il sindaco al verde non ha alternative. Accetta. Per lui quelle pale sono il solo modo per pagare l’illuminazione pubblica e gli impiegati.
La Regione e lo Stato non intervengono. In nome dell’emergenza energetica passano sopra a tutto, anche a un bene primario come il paesaggio.
Risultato? Oggi la rete eolica italiana non è il risultato di un piano ma del caso. Segna come le pustole del morbillo i territori deboli, incapaci di contrattare.
Con l’acqua la situazione è ancora più limpida.
Vi racconto cose che ho visto personalmente.
Qualche scena, capace di illuminare il tutto.
Alta Val di Taro.
C’è una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese – noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato – restano senz’acqua nelle condutture pubbliche.
C’è una protesta ma il sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. “Non abbiate paura – dice – quando mancherà la NOSTRA acqua, la fabbrica pomperà la SUA nei nostri tubi”.
L’acqua del paese è data già per persa, requisita dai padroni delle minerali. L’idea che si tratti di un bene pubblico e prioritario non sfiora né il sindaco né la popolazione rassegnata.
Recoaro, provincia di Vicenza.
Una pattuglia di “tecnici dell’acqua” (così si presentano), fanno visita a una vecchia che vive sola in una frazione di montagna. Le chiedono di poter fare delle verifiche alle falde. La donna pensa che siano del Comune.
Il lavoro dura un mese. I tecnici trivellano, trovano acqua. Poi chiudono il pozzo aperto con dei sigilli. A distanza di mesi si scopre che la fabbrica di acque minerali giù in valle sta facendo un censimento delle fonti potabili in quota, in vista della grande sete prossima ventura della Terra in riscaldamento climatico.
I parenti della donna si accorgono del maltolto e sporgono denuncia. Scoprono di essersi mossi appena in tempo per evitare l’usocapione del pozzo. Il sindaco tace. Gli abitanti di Recoaro pure. Ciascuno vende le sue fonti in separata sede.
Castel Juval, in val Venosta.
Qui potete fare le vostre verifiche da soli. Vi sedete al ristorante dell’agriturismo di Reinhold Messner e chiedete dell’acqua. Scoprirete di avere due opzioni. L’acqua minerale – la notissima acqua propagandata dall’alpinista sud-tirolese – e l’acqua di fonte. La fonte di Reinhold Messner. Ebbene, anche questa è a pagamento. Metà prezzo rispetto a quella in bottiglia, ma anch’essa a pagamento. E la gente beve, estasiata. Vedere per credere.
Che dire? Come gli abitanti della Somalia o del Mali, siamo disposti a pagare ciò che ci sarebbe dovuto gratuitamente.
Abbiamo rinunciato a considerare l’acqua come pubblico bene.
La nostra sconfitta, prima che economica, è culturale.
La grande vittoria del secolo scorso fu l’acqua nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro.
Siamo ridiventati portatori d’acqua. Come gli etiopi, arranchiamo per le strade con carichi inverosimili d’acqua e non riflettiamo che il valore reale della medesima è appena un centesimo del costo della bottiglia.
Meno del costo della colla necessaria a fissare l’etichetta.
Il dramma non è solo lo scempio delle risorse, ma la nostre insensibilità alla rapina in atto.
Abbiamo accettato di farci derubare. Siamo un popolo rassegnato, e i signori delle risorse lo sanno perfettamente.
Il dossier di un’azienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: “facilità di penetrazione, costi d’insediamento minimi, zero conflittualità sociale”. Soprattutto, “poche obiezioni ecologiche”.
Sembra il Congo, invece è Italia.
Grazie di avermi ascoltato
Paolo Rumiz

Fonte:  http://poveglianoatuttogas.wordpress.com/
Proposto da: Lorena B.